Dis-connessi (prima parte)

di Andrea Corsini

(Dicembre 2010 - Yoga Italia, num. 71)

Assisti a ció che accade dentro di te e si aprirá uno stato di coscienza diverso in cui ti accorgi di quando ci sei e di quando non ci sei.

Connessi con tutto e tutti tranne che con se stessi. è questo il titolo dell'articolo apparso su La Stampa di giovedí 26 agosto 2010 con la firma di Bruno Ruffilli. Uno studio dimostra che l'abuso di gadget elettronici affatica il cervello. Riporto alcuni punti salienti:

“Sempre online, con telefonini e smartphone, con sveglie che leggono le ultime notizie dal web, televisori che spuntano ad ogni angolo con social network, mail e chat che prendono il posto della conversazione faccia a faccia.
Bersagliato da mille stimoli, che diventeranno sempre maggiori, il cervello non riesce piú ad elaborarli, e anche la memoria ne risente.
Canzoni, films, messaggi si confondono in un mare indistinto di informazioni digitali.
Questi sono i risultati scientifici di una ricerca dell'Universitá della California che ha scoperto che quando le cavie hanno nuove esperienze attivano connessioni tra neuroni che prima non esistevano.
Peró solo quando gli stimoli rallentano gli animali hanno modo di riposare.
Nell'uomo il meccanismo è analogo, ma la tecnologia e il business non tollerano spazi vuoti, a parte le ore di sonno, sempre meno e sempre piú problematiche, ogni istante della nostra vita è riempito dai gadget.
Il tempo libero è cancellato, ogni momento è colmato da attivitá produttive o ludiche, sovente in competizione con gli altri praticanti.
Internet ormai pensa e ricorda per noi. Si arriva al paradosso che per lavoro trascorriamo molte ore di fronte al computer e poi ci chiudiamo in una bolla digitale anche nel tempo libero.
In palestra sul tapis roulant continuano i gadget cosí usciamo fuori piú forti e anche piú stupidi.
Non è che gli schermi ci rendano piú informati visto che trasmettono soltanto reality e quiz con la promessa di trasformarci tutti in miliardari felici e contenti.
Troppi stimoli digitali possono produrre persone che normalmente starebbero bene in un contesto in cui non sono piú sani psicologicamente”.


Quest'ultima frase è molto “forte” e merita la nostra riflessione.

La soluzione? Ritornare all'etá della pietra. Ricominciare a usare i segnali di fumo. Non mi sembra appropriato.

L'articolista suggerisce di connettersi con se stessi attraverso la corsa all'aperto, evitando i percorsi urbani perché la capacitá di concentrazione aumenta del 20% dopo una corsa nella natura e rimane identica dopo una corsa in un centro urbano. Questo il risultato di uno studio dell'Universitá del Michigan.

A tutti, ma soprattutto a un praticante di yoga, dovrebbero venire spontanee queste domande dopo aver letto l'articolo citato visto l'interesse per il mondo interiore: connettersi con se stessi cosa significa? E poi è davvero cosí fondamentale? Come mai sono piú numerosi gli sconnessi dai connessi? Praticare lo yoga aiuta veramente a connettersi con se stessi? Non basta la corsa in aree non urbane per liberare e far riposare la mente?

Sono domande impegnative ma che considero fondamentali per la sopravvivenza mentale non solo razionale e a cui cercheró di rispondere.

Mi è rimasta in mente la frase: la tecnologia e il business non tollerano spazi vuoti ...
La scienza dello yoga afferma, con i Sutra di Patanjali, che il praticante ritrova se stesso attraverso dhyana (la meditazione) e poi in una successiva evoluzione con il samadhi (yoga). Patanjali ha disegnato con i suoi aforismi la mappa psico-fisica del cammino della coscienza.

Allora definiamo cos'è la meditazione e in che modo praticarla?

La pratica della meditazione è l'assistere alle funzioni mentali disidentificandosi. è come avere una telecamera mentale e osservare il film. Quando il respiro e il battito cardiaco, in seguito all'immobilitá prolungata, si calmano anche le onde cerebrali, decrescono di velocitá.

Si presentano spontaneamente le onde denominate alfa (da 8 a 12 cicli per secondo), si accede a una dimensione rilassata detta ipnagogica caratterizzata da un relax psico-fisico molto profondo.

Il pensiero, abbiamo detto, cambia ritmo, ci sono dei momenti di vuoto tra un pensiero e l'altro. Come nel cielo, tra una nuvola e l'altra puoi scorgere la limpidezza dell'azzurro che fa da sfondo.

Nonostante questi momenti vuoti, si rimane coscienti e consapevoli entrando in un'altra dimensione. I buddhisti la definiscono sunyata e turya, il vuoto, la vera natura, la natura originale: ecco la connessione con se stessi.
Se invece di meditare, ti colleghi ai gadget elettronici, anche nel tempo libero, per molte ore al giorno il cervello accelera le sue onde arrivando a 20 cicli per secondo (onde beta legate alle percezioni sensoriali, all'esteriorizzazione e allo stato di veglia).

Se il pensiero diventa ancora piú veloce, oltre i 20 cicli per secondo, cominciano i fenomeni di ansia, stanchezza, agitazione, insonnia, nervosismo. Il cervello sta andando in corto circuito. L'energia consumata dall'attivitá cerebrale è enorme. Il cervello chiaramente si stanca e perde di luciditá. La tecnologia diventa una droga che accelerando le tue funzioni cerebrali ti fa sentire efficiente, potente e competitivo finché dura lo stimolo.

Allora l'allineamento con se stessi e la quiete ritrovata dipendono dal numero delle nostre onde al secondo? Questa è una spiegazione ma è solo l'involucro della questione.

Ora provo a rispondere alla domanda: ma connettersi a livello profondo cosa significa? Abbiamo detto che questa connessione puó manifestarsi durante la pratica meditativa. Peró non dobbiamo voler fare la meditazione.

Semplicemente assisti a ció che accade dentro di te e si aprirá uno stato di coscienza diverso in cui ti accorgi di quando ci sei e di quando non ci sei.

Questo è il primo passo. Essere consapevoli dei momenti d'incoscienza a occhi aperti, che potremmo definire non essere connessi interiormente. Bisogna rimanere presenti senza voler dirigere la meditazione o l'energia.

Diventare ricettivi senza annullamento e sentirsi nell'azione pur rimanendo nell'immobilitá, essere in contatto con l'interno e l'esterno in maniera simultanea. Si apre una forma d'intelligenza naturale, cellulare, sovente in conflitto con l'intelligenza razionale costituita dalle idee correnti prese in prestito. Questo conflitto tra queste due intelligenze ci porta a non essere in sintonia con noi stessi.
Sono due circuiti: uno è rapido e automatico legato all'ego e alla memoria, l'altro ha un ritmo profondo, intuitivo, autentico. Quando la mente si integra con quest'ultimo, allora c'è dhyana.

Si entra nel silenzio rinunciando alla certezza che esisto solo se parlo. Questo conflitto interiore ci porta a essere come uno strumento scordato.

Il suono emesso è molto disarmonico e poco piacevole all'orecchio. Bastano a volte poche mosse sulle “chiavette” (i centri interiori, i fiori colorati: radici, addome, cuore, gola, fronte, capo) per far in modo che il suono ritorni armonico (la nostra voce, il nostro modo di pensare, le nostre azioni, i nostri gesti).

Il corpo non mente, parla della nostra armonia o disarmonia interiore: il suono stridulo della voce, i movimenti a scatti, i tic, la pupilla dilatata manifestano in maniera impietosa la nostra frattura interiore, il nostro malessere profondo. In questo stato, la ricettivitá viene percepita come un miraggio, uno stato irrealizzabile che in realtá è semplicemente essere accoglienti verso quello che si è e a quello che è.

Assisti, assistiti, guarda le tue personalitá, anche quella del meditante, del praticante di yoga.



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